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Bruno Bettelheim, psicoanalista ebreo viennese, fu rinchiuso per un anno nei campi di concentramento di Dachau e di Buchenwald. Emigrato in America e dedicatosi alla psicoterapia dei bambini, ha sentito il bisogno profondo di raccontare le sue esperienze dell'orribile macchina del Lager, e soprattutto le riflessioni psicologiche e politiche che ne ha tratto; di qui questo libro ricchissimo e straordinario. Un'analisi minuziosa del comportamento delle varie categorie dei detenuti e delle SS, quasi un'anatomia dei Lager, diventa lo stimolo per una riflessione sui rischi della società moderna, sui meccanismi generali dell'oppressione, sulle risorse di cui dispongono gli uomini per diventare liberi, o almeno per mantenere il senso della propria vita anche nelle circostanze più tragiche dell'oppressione e della strage di massa. Il "dato contesto storico" sostiene Bettelheim, non deve trarci in inganno: se la Germania di Hitler rappresenta il primo e più aberrante esempio di una società di massa, non possiamo certo nasconderci che l'intervento sociale e statale nella vita dell'individuo va aumentando di pari passo col progredire della tecnica.
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