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"Non voglio niente, Davide. Non devi metterti nei guai per me.”
"Ma tu… tu sei povera.”
"Lo so, ma questo non è un tuo problema. Hai già fatto molto per me. Non devi preoccuparti, chiaro?”
Ci sono delle storie che iniziano dal niente e sembrano quasi perdersi nell’immensità dei loro ricordi. Un incontro, fortunato, un allontanamento, improvviso, e il ritrovarsi dopo anni, in circostanze diverse, ma con quella curiosità che ha caratterizzato le vicende fin dall’inizio. È quello che succede a Camila e a Davide, fin dai primi momenti. I due con una narrazione in terza persona secca e diretta, ci vengono mostrati da bambini. Camila, sprovvista di qualsiasi mezzo, che lotta per la sopravvivenza quotidiana e per il mantenimento delle norme igieniche, e Davide un paffuto bimbo di sette anni, che si sforza di comprendere un mondo brutale, fuori da quello della sua famiglia. Lo sfondo, quello di Carovigno, un paesino pugliese, è appena accennato, ma fondamentale. Camila, improvvisamente strappata alla sua città natale, si ritrova in Germania, a lottare ancora una volta, mentre Davide affronta altri tipi di dolore. A distanza di anni, entrambi, si ritrovano a Roma. Una Roma caotica, che li vede ancora contrapposti. Camila si sforza di tenere l’anonimato, nascondendosi in piena luce, Davide con la spensieratezza dei suo ventiquattro anni, che lo portano a frequentare la facoltà di ingegneria, impegnarsi nello studio, credere che tutto sia possibile e vivere avventure sentimentali senza significato.
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