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LA sala di prima classe era deserta; le luci non erano ancora state accese; dalle finestre striate di pioggia s'intravedeva un grigio mattino nebbioso. Una gru in manovra stava cigolando; scorgevo argani e montacarichi e, sulla banchina, ricoperte di teloni, lunghe file di trebbiatrici americane. Tutto era confuso e deformato: al di là della tettoia c'era Shangai, e sotto la pioggia, a quella distanza, sembrava una città qualsiasi. Non mi sembrava di essere arrivato, non ancora. Provavo solamente disagio; forse perché i motori erano fermi, perché pioveva e Shangai era così grigia nella luce mattutina e i rumori giungevano attutiti, soffocati, attraverso i doppi vetri delle finestre.
Mi fermai ad osservare il mio viso incolore contro il vetro della finestra: massiccio, con un gran naso e scure sopracciglia diritte sotto una capigliatura chiara. Gli occhi erano seminascosti. Non era un gran bel viso, ma il solo familiare. L'avevo portato nuovamente qui ed ora era riflesso nel vetro della stazione di Shangai e mi guardava dall'Oriente....
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