Mignon G. Eberhart - Uno di noi (1966)

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data: – 11.07.2018, 01:36
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Mignon G. Eberhart - Uno di noi (1966) 
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A causa di questa brutta storia, mi è sempre più difficile esercitare la mia professione di infermiera. Sono giunta a questa conclusione, con rammarico, ma ho dovuto arrendermi all'evidenza dei fatti. I miei pazienti s'innervosiscono quando scoprono che mi chiamo Sarah Keate. "L'infermiera Keate, quella che...", incominciano, e poi s'interrom-pono bruscamente, mi guardano con sospetto, mi chiedono di lasciare la lampada accesa sul comodino. Qualcosa nel loro contegno dice chiaramente: "Non voglio questa infermiera dai capelli rossi che ha avuto troppo a che fare con il delitto". Ma io sono un'infermiera. Non sono un detective e non voglio esserlo. Il mio compito è quello di assistere chi soffre. Niente da fare: per una strana sorte, sono stata coinvolta in casi di omicidio, e a nessuno piace trovarsi a contatto col delitto, specialmente ai malati. Ammetto che, in determinate circostanze, ho sentito il dovere di fare quello che potevo per la causa della giustizia; tuttavia non mi piace affatto che i medici si rivolgano a me ogni volta che si presenta loro un caso che definiscono con l'eufemismo "straordinario". Così si espresse infatti il dottor Bouligny, come appresi in seguito, quando telefonò per farsi mandare un'infermiera, precisando che doveva essere "una persona discreta". Andò a finire che mandarono me. Spero che d'ora in poi mi capitino solo tante belle appendiciti e tonsilli-ti, per cancellare gli effetti del caso Thatcher. Mi accingo a parlare di tutto ciò con estrema riluttanza anche adesso che, per vari motivi, sono libera di farlo, e ne parlo solo perché spero ardentemente che i miei futuri pazienti possano rendersi conto di come sia stata letteralmente costretta a occuparmi del caso, e involontariamente coinvolta in quella sinistra vicenda. Il peggio fu che non potei fare assolutamente nulla, perché avevo le ma-ni legate. Ancor oggi, inoltre, ho l'impressione di non aver potuto sondare a fondo quel mistero, ma di aver indovinato solo certi particolari. Bene, ormai tutto è finito, ed ecco il racconto esatto di quello che avvenne, quale lo scrissi subito dopo aver lasciato casa Thatcher. Questa è la storia di ciò che accadde ai Thatcher in una settimana d'estate, e un po' anche l'epilogo di una vicenda intricata, della vecchia casa e di tutti coloro che l'abitavano. Stranamente ho provato una certa simpatia per i Thatcher. E dire che mi hanno praticamente tenuta prigioniera, facendomi quasi uscire di senno dal terrore, costringendomi a origliare alle porte, a leggere una lettera che non mi era destinata e, come se ciò non bastasse, a restituirla di nascosto alla persona cui apparteneva, avallando così, in un certo senso, un fatto che non potevo approvare, benché suscitasse la mia compassione. Devo confessare che ho fatto tutte queste cose senz'ombra di rimorso: an-zi, prima che me ne andassi per sempre, mi fu affidato il peso di un segreto che deve ancora aleggiare minaccioso tra i vecchi muri di casa Thatcher. Malgrado ciò, strano a dirsi, i Thatcher mi piacevano. Tuttavia, sapendo quello che so ora, non mi sarebbe più possibile attraversare quel prato così verde e tranquillo, salire quei gradini in cima ai quali Emmeline apparve urlando, e varcare la soglia di quella porta im-ponente, una porta che dava accesso a tanti orrori...

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  1. | Pubblicato 11 Luglio 2018 08:22

    Grazie

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