
La notte in cui la mia casa brucia a Boston, capisco che i fantasmi non sono tutti fatti d’ombra: alcuni odorano di fumo e scelta, altri di pelle e pericolo. È così che finisco a Savannah, nella villa della zia Henrietta — una casa bella da far male, che profuma di biscotti e di segreti — convinta che ricominciare significhi solo pulire stanze e mettere in fila i pensieri. Poi, in cantina, trovo lui. Nick. Corpo da peccato, sorriso sbagliato, contanti piegati male nelle tasche. Lavora di notte, su un palco dove le mani battono il ritmo e i nomi diventano maschere. Dice che è “di passaggio”, ma gli occhi raccontano altro. E quel “passaggio” è sotto il mio pavimento. Coinquilino proibito, regole impossibili: niente confidenza, niente salvataggi, niente baci. (Indovinate quale infrango per primo.) Savannah mi accoglie con i suoi viali ombrosi e i salici piangenti che ondeggiano al vento come a custodire i segreti della città; i vicini — Lola con il cuore dark e Husky col suo buonsenso innato— mi adottano senza chiedermi troppo. Io faccio liste per respirare, lui fa promesse per restare. Intorno, però, la realtà scricchiola: voci che tornano, conti che non tornano, nomi che è meglio non dire. E quando il passato bussa, scopro che la paura può avere il profumo della vaniglia… e delle banconote nuove. Non so se credo ai fantasmi. So che credo alle mani che tremano quando toccano la verità. Nick è l’errore a cui voglio credere e la salvezza che non ho il coraggio di chiedere. È il rischio che non so smettere di correre… e forse l’unica verità che non posso più ignorare.